Il Favor Iuris del Matrimonio
Il matrimonio, è l’istituto fondamentale della società e della Chiesa, chiamato spesso come “chiesa domestica” e come tale gode del cd. favor iuris (favore del diritto). La legge del “favor iuris”, e la connessa presunzione di validità in caso di dubbio, è dichiarata dal canone 1060: “Il matrimonio ha il favore del diritto; pertanto nel dubbio si deve ritenere valido il matrimonio fino a che non sia provato il contrario” del Codice latino e dal canone 779 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali: “Il matrimonio ha il favore del diritto; perciò nel dubbio bisogna stare per la validità del matrimonio finché non sia provato il contrario”.
Nel caso di matrimonio dubbio (valido o meno) si sostiene la validità del vincolo, fino a prova contraria. Siamo di fronte al cd. “favor iuris tantum”, principio fondamentale del diritto matrimoniale canonico in base al quale, in caso di dubbio, si ritiene valido il matrimonio fino a prova contraria: agisce come principio processuale nel senso che non può essere dichiarata la nullità di un matrimonio finché non si abbia la certezza morale (non già assoluta) di tale invalidità. Unica condizione per l'applicazione del favor matrimonii, è che il negozio matrimoniale sussista e ne sia valutabile la conformità al diritto canonico.
Per cogliere bene il significato di questa presunzione, conviene in primo luogo ricordare che essa non rappresenta un'eccezione rispetto ad una regola generale in senso opposto. Al contrario, si tratta dell'applicazione al matrimonio di una presunzione che costituisce un principio fondamentale di ogni ordinamento giuridico: gli atti umani di per sé leciti e che incidono sui rapporti giuridici si presumono validi, pur essendo ovviamente ammessa la prova della loro invalidità (cfr. CIC, can. 124 § 2; CCEO, can. 931 § 2).
Questa presunzione non può essere interpretata come mera protezione delle apparenze o dello status quo in quanto tale, poiché è prevista anche, entro limiti ragionevoli, la possibilità di impugnare l'atto. Tuttavia ciò che all'esterno appare correttamente posto in essere, nella misura in cui rientri nella sfera della liceità, merita un'iniziale considerazione di validità e la conseguente protezione giuridica, poiché tale punto di riferimento esterno è l'unico di cui realisticamente l'ordinamento dispone per discernere le situazioni cui deve offrire tutela.
Ipotizzare l'opposto, il dovere cioè di offrire la prova positiva della validità dei rispettivi atti, significherebbe esporre i soggetti ad un'esigenza di pressoché impossibile attuazione. La prova dovrebbe infatti comprendere i molteplici presupposti e requisiti dell'atto, i quali spesso hanno notevole estensione nel tempo e nello spazio e coinvolgono una serie amplissima di persone e di atti precedenti e connessi.
Che dire allora della tesi secondo cui il fallimento stesso della vita coniugale dovrebbe far presumere l'invalidità del matrimonio? Purtroppo la forza di questa erronea impostazione è a volte così grande da trasformarsi in un generalizzato pregiudizio, che porta a cercare i capi di nullità come mere giustificazioni formali di un pronunciamento che in realtà poggia sul fatto empirico dell'insuccesso matrimoniale, ma non va a vedere le sue radici. Questa ingiustificata forzatura di coloro che avversano il tradizionale favor matrimonii può arrivare a dimenticare che, secondo l'esperienza umana segnata dal peccato, un matrimonio valido può fallire a causa dell'uso sbagliato della libertà degli stessi coniugi.
Concludendo, si deve precisare che non basta che l’istituto del matrimonio sia tutelato dalla legislazione canonica, ma soprattutto deve essere sostenuto e valorizzato come bene della chiesa, con le dovute iniziative pastorali e altri sostegni a suo favore. A queste condizioni non sarà più necessario ricorrere alla presunzione della sua validità, ma il suo valore intrinseco, sarà apprezzato e valorizzato da tutti come il bene vero.